STORIE DI PAESE

lunedì 16 agosto 2010

L'ATTESA DI DAVIDE.

SanVitoCH.info (C)

Era decisamente massiccia la presenza degli sponsor, le macchine pacchianamente colorate e coperte da troppi loghi. Quel circo, mediatico e non solo, tanto strombazzante quanto all’apparenza indifferente al percorso che attraversava, era poi colmo di tecnologia a tratti nauseante, infarcita di materiali sintetici, di plastiche, di leghe di carbonio e titanio, di forme spaziali pomposamente votate all’aerodinamica e all’ultraleggerezza, e soprattutto vi si respirava un’ormai asfissiante puzza di inganni, di offese e di insulti allo sport sano e puro. Malgrado tutto ciò, Davide ostinato più che convinto, la poesia nel ciclismo ancora ce la pensava. E insieme alla poesia ci pensava il senso magico di qualcosa d’altri tempi che tuttavia non si era ancora completamente perduto. Veder passare il Giro gli provocava sempre un brivido strano.

In quel giorno, quasi con l’aria di voler convincere qualcuno che si trovasse lì per caso, fingeva di essersi imbattuto nel passaggio del Giro d’Italia, uno di quegli eventi che, mentre attendeva la carovana, lo metteva nella sensazione di vivere un tempo sospeso; attendere il passaggio repentino di centinaia di corridori era, inspiegabilmente alla logica, e ahimè, anche alla testa della sua donna, giusto; il piacere che provava a riguardo ne era la prova lampante. Davide non aveva, in verità, tanta voglia di spiegarle certe sue sensazioni e si divertiva a trovare conferma delle sue inamovibili idee quando sentiva Paolo Conte cantare il piacere di restar lì sullo stradone in attesa di scorgere la sagoma di Bartali spuntare dal curvone, esortando la sua lei ad andarsene tranquillamente al cinema. Come Conte anche Davide intendeva le cose in quella maniera, non c’era da stare tanto a chiedere comprensione se la sintonia di vedute non c’era.

Si compiaceva spesso nel canticchiare quella canzone sotto la doccia prima di quel giorno. Non si sarebbe trattato di salita, ma ne valeva lo stesso la pena. Il fugace passaggio della carovana in zona di pianura, che in tre settimane scorazzava per tutta l’Italia, più o meno interamente, attraversando paesi, borghi, strade di collina e di montagna, centri storici e vie di campagna, gli dava pura gioia nell’applaudire. Applaudirli tutti e nessuno in particolare, applaudire il Giro o, in un certo senso, applaudire il paesaggio italiano che resta, resiste e sopporta quello che gli fanno giorno per giorno: mezzi e motori, scavi e impalcature che tolgono terreno per portare mattoni, cementi e derivati. Forse quello che a Davide piaceva - e faceva fatica a spiegare - era l’idea di un Giro come una sorta di cucitrice che metteva punti laddove il tessuto sembrava ormai lacerato, entrando quasi nelle case delle persone, senza chiedere soldi ma solo di mettere la testa fuori. Sapeva anche che era pura illusione, che non possono bastare delle biciclette quando le cuciture sono messe a così dura prova, ma nel marasma totale, almeno per un attimo, in quel contesto e per venti giorni, gli piaceva pensarlo. Pensava ai posti che non aveva mai visto ma che conosceva grazie al Giro, a quello che evocavano in lui il sentir pronunciare nomi come Zoncolan, Aprica, Mortirolo.

Riguardo a quel giorno, per una tappa senza salite particolari, Davide aveva dovuto però implorare carità, aveva pregato e infine imprecato perché molti altri spettatori meno interessati se ne andassero al Cinema, voleva restare lì sulla strada e aspettare per applaudire, applaudire per tornare a casa soddisfatto. Avevano rovinato anche quell’attesa, dieci minuti, quei minuti che non sanno misurare la soggettività di un’attesa. Si ritrovò suo malgrado ad assistere ad un altro circo, quello dei suv e delle mamme in ansia, degli sbuffi e delle polemiche di quanti dovevano assolutamente andare a casa a buttare giù la pasta e invece erano ancora lì ad aspettare, forzatamente, che si riaprisse la strada bloccata dal passaggio del Giro.

Voleva urlare che potevano aspettare, che quando passa il Giro ci si ferma, che è giusto fermarsi e che è bello fermarsi. Ma l’avrebbero compreso?

No!

Semplicemente del Giro non ne intendevano il senso e la bellezza ma solo il fatto che tiene bloccate le persone. La capacità di gettare via minuti non è data a molti e spesso questa lacuna è mascherata dalle varie categorie di persone nei modi più disparati:

Le apprensive, “Mio figlio è stato costretto ad aspettare, dentro il pulmino, sotto il sole”.

I mancati organizzatori “Ma vuoi avvertire i cittadini che a tal’ora la strada sarà bloccata?” o “Non hanno nemmeno pensato a far uscire prima i ragazzi dalle scuole”.

Gli stacanovisti “Devo assolutamente rientrare al lavoro tra venti minuti”.

Gli anarchici “E’ assurdo che il Giro mi costringa a restare fermo qui”.

I rivoluzionari “Se tra cinque minuti questi non sono passati io metto in moto e passo e guai a chi si para davanti”.

Davide, indignato, li guardava brutalmente mentre si ricordava che ai suoi tempi si usciva prima da scuola in compagnia della maestra, non per andare a casa, ma per guardare i corridori passare.

Se avesse gridato a tutti di farla finita, forse qualcosa sarebbe successo, ed invece mentre pensava di scagliarsi contro qualcuno, l’attesa, seppur rovinata, era ormai finita, e d’improvviso i corridori stavano per passare. Tutti in gruppo, un rumore fantastico di quattrocento ruote che girano sotto la forza di pedali a catene oleatissime.


Mentre ricacciava in gola gli improperi, quel brivido strano stava già percorrendo la schiena di Davide che si lanciò nel più bell'applauso che le sue mani erano mai state in grado di produrre. Un minuto di soddisfazione e di gioia che non avrebbe cancellato le stupide polemiche di chi non può vedere oltre un Suv o oltre una pentola d’acqua in ebollizione. Passata la carovana mentre le ultime ammiraglie e le moto chiudevano il Giro, le macchine ferme in attesa si rimettevano in moto e Davide se ne poteva andare soddisfatto e con in faccia il ghigno di chi mostra di avere appena gustato una piacevole vendetta. I buttatori di pasta & Co. avevano perso. A loro, al contrario di Davide, quei dieci minuti non erano affatto volati.

2 commenti:

  1. Ottimo Vittorio. Un trionfo della semplicità, quella che ci manca tanto oggi. Nemmeno più il Giro merita persone così pure, come Davide.

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  2. Grazie della visita Ludovico. In effetti purezza e semplicità sembrano parole del secolo scorso.

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